Vi trovate in località Col Panigal, a 986 metri di quota.
L’oronimo di questo luogo deriva probabilmente da “collis”, ovvero colle, e “panighial”, gambo di miglio.
Procedendo per 1500 metri in direzione sud-ovest, raggiungiamo la località Stàol de Curàch dove, nelle vicinanze, si trovano due siti archeologici di età romana I-III secolo d.C. e preromana risalente al VI – V secolo a.C.
Nel 2002, a seguito di una segnalazione da parte di agricoltori locali all’Associazione locale ‘’Amici del Museo dell’Alpago’’, ci fu il rinvenimento di una situla bronzea istoriata in località Pian de la Gnela. Con il successivo intervento della Soprintendenza archeologica per il Veneto e il sostegno della Provincia, a partire dal 2003, venne avviata la lunga campagna di scavo con metodo stratigrafico nei due settori rilevati distanti uno dall’altro un centinaio di metri. La ricerca ultimata nel 2012 e sostenuta dalla costante collaborazione tra il Comune di Pieve d’Alpago, l’associazione Amici del Museo, la Fondazione Giovanni Angelini, il Bim Piave, e la Cariverona ha restituito un patrimonio archeologico e un insieme di informazioni di una tale portata “da segnare l’ingresso della necropoli di Pian de la Gnela nel panorama della liturgia funeraria del Veneto preromano’’. I preziosi reperti rinvenuti fanno parte di corredi tombali che possiamo definire ‘unici’. Un reperto in particolare ne definisce l’unicità: la situla bronzea datata VI-V secolo AC. Tale manufatto è arricchito da decorazioni a sbalzo e a cesello che intervallano tre registri figurativi composti da cortei di figure maschili con manto e basco e da scene di amplessi che culminano con la rappresentazione del parto. Quest’ultimo elemento costituisce un unicum per quanto riguarda i ritrovamenti di situle. Il reperto decorativo sembra rimandare ad una committenza di alto rango.
I ritrovamenti di epoca romana sono attualmente esposti presso il Museo di scienze naturali di Chies d’Alpago, mentre quelli riferibili ai Veneti Antichi sono al momento conservati, non esposti, dalla Soprintendenza di Padova.
L’area indagata, subito ricomposta dopo lo scavo, ha ritrovato la pace della faggeta che per secoli ha protetto il tesoro che si auspica possa ritornare presto nel Bellunese.
Nelle vicinanze trovate una modesta costruzione seminterrata di tipo ‘alpino’, utilizzata per immagazzinare fogliame o attrezzatura. La peculiarità di questa costruzione in muratura a secco è di avere tre pareti di pietra, inserite in parte nel pendio del bosco, e la copertura a spiovente che spunta fuori dal terreno.
L’intera area è a bosco ad alto fusto in cui prevale il faggio. Salendo di quota, al limitare del bosco, le pareti rocciose del Col Mat si erigono a formare delle sinuose creste dove si trovano i tipici fiori dell’alta montagna. Tra tutti spicca la regina dei fiori d’alta quota: la stella alpina, la quale, con il suo candore vellutato legato all’adattamento alle alte quote, nel mese di luglio regala incantevoli fioriture. Rara la presenza dal Raponzolo di roccia, che fiorisce tra luglio e agosto lungo le fessure umide delle pareti rocciose calcaree.
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